La cura dell’infanzia

L’Italia non brilla tra i Paesi Ocse in fatto di servizi educativi per l’infanzia, mentre la Svezia primeggia, secondo una classifica stilata dall’Unicef, soddisfacendo tutti e dieci i parametri utilizzati come indicatori.
Il Report Card 8 su Come cambia la cura dell’infanzia, realizzato dal Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef e presentato a Roma l’11 dicembre 2008, compara 24 Paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) più la Slovenia nell’efficacia dei servizi di educazione in età prescolare.

Il Centro ha elaborato, in collaborazione con esperti accademici e funzionari governativi, dieci parametri su politiche governative, accesso, qualità e contesto sociale, e per ciascun indicatore è stato scelto un valore come standard minimo accettabile per i Paesi Ocse. Secondo lo studio, basato su dati forniti dai ministeri coinvolti nelle politiche per l’infanzia, l’Italia si colloca al 16esimo posto e risulta soddisfare solo quattro di questi parametri: la presenza di un piano nazionale di priorità ai bambini svantaggiati, servizi educativi a finanziamento pubblico per l’80% dei bimbi di quattro anni, formazione professionale di almeno l’80% del personale di assistenza per l’infanzia e 50% del personale in possesso di una laurea o relative qualifiche. Il nostro Paese ne lascia scoperti altri sei, posizionandosi in una fascia medio bassa della classifica. La Svezia resta sola al primo posto, con il 100% dei parametri soddisfatti, seguita dall’Islanda con nove, e da Danimarca, Finlandia, Francia e Norvegia con otto. Fanalino di coda per Canada e Irlanda, che soddisfano un solo parametro, preceduti da Australia, con due criteri soddisfatti, e da Svizzera, Stati Uniti, Spagna e Messico con tre.

Uno dei parametri utilizzati dallo studio riguarda l’efficacia del congedo parentale, identificato nel permesso di un anno per almeno un genitore (compreso il periodo prenatale) al 50% dello stipendio e con almeno due settimane per i padri. Calcolando il rapporto tra durata del congedo e percentuale di salario offerto, lo studio posiziona l’Italia al decimo posto della classifica dei 25: al primo c’è la Norvegia, seguita da Francia e Ungheria, e agli ultimi, con un indice pari a zero, Australia e Stati Uniti. In generale, afferma l’Unicef, negli ultimi dieci anni si è assistito a cambiamenti per l’infanzia nei Paesi ricchi, che riflettono le nuove opportunità occupazionali per le donne o l’esigenza di tornare a lavorare dopo la nascita di un figlio nelle famiglie meno abbienti: oggi circa l’80% dei bambini dai tre ai sei anni del mondo economicamente avanzato e il 25% dei bambini sotto i tre anni, frequenta una struttura di servizi educativi e assistenza per la prima infanzia. L’Unicef ha dedicato per questo motivo particolare attenzione alla qualità dei servizi offerti, stabilendo in questo senso quattro parametri, tra cui un rapporto numerico minimo tra personale e bambini da uno a 15 nell’istruzione prescolare e uno standard minimo di finanziamento pubblico all’1% del Prodotto interno lordo, entrambi non soddisfatti dall’Italia e, rispettivamente raggiunti da 12 su 25 e da sei su 25 dei Paesi esaminati.

L’Italia, infatti, spende in servizi per la prima infanzia lo 0,5% del suo Pil, sotto la media degli Stati Ocse dello 0,7%.«L’investimento nell’educazione è un fattore chiave nello sviluppo di un Paese – ha spiegato Leonardo Menchini, curatore della versione italiana del Rapporto –.I primi sei Paesi della classifica sono anche quelli che spendono di più nell’educazione. Molti altri dovrebbero raddoppiare i finanziamenti per raggiungere questi parametri». «I parametri di riferimento proposti devono essere considerati come un primo passo verso l’istituzione di una serie di standard minimi che facilitino buoni sviluppi nella prima infanzia – ha detto Marta Santos Pais, direttore dell’Unicef Centro di ricerca Innocenti –. L’alta qualità dei servizi educativi e della cura hanno un enorme potenziale nel migliorare lo sviluppo cognitivo, linguistico e sociale dei bambini, può contribuire a rafforzare l’istruzione, limitare l’iniziale situazione di svantaggio, promuovere l’inclusione, diventare un investimento su buone pratiche di cittadinanza e migliorare il progresso per le donne». «I diritti dei bambini non iniziano a cinque anni; eppure la fascia 0-5 anni è stata spesso trascurata – ha concluso il presidente dell’Unicef Italia Vincenzo Spadafora –. I rendimenti sugli investimenti nell’educazione e nell’assistenza all’infanzia possono arrivare fino a otto dollari per ogni dollaro investito».

I progressi nelle conoscenze scientifiche dello sviluppo precoce del cervello confermano che la qualità delle cure e l’interazione nei primi mesi e anni di vita del bambino sono fondamentali per quasi tutti gli aspetti del suo sviluppo. I cambiamenti in corso portano con loro il potenziale di grandi benefici e allo stesso tempo di grossi danni. La scarsa qualità di assistenza dei bambini – continua il Rapporto – può dar luogo a fondamenta deboli e traballanti per l’apprendimento futuro, e ciò vale sia per lo sviluppo di competenze cognitive e linguistiche sia per lo sviluppo psicologico ed emotivo. Alcuni Paesi Ocse si sono impegnati sulla questione dei bambini, perseguendo politiche volte a realizzare i benefici potenziali. In altri si sta procedendo con strutture di cura ad hoc per bambini con meno garanzia di qualità. Molti altri Paesi avranno bisogno almeno di raddoppiare gli attuali livelli di spesa per i servizi per la prima infanzia se si vogliono raggiungere gli standard minimi accettabili.

Il rapporto completo su “la cura dell’infanzia” è scaricabile e visionabile in versione pdf dal sito dell’Unicef

Fonti:

www.avvenireonline.it

www.unicef-irc.org

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